Lo so cosa state pensando: magari li avremmo anche già letto se ce li aveste segnalati per tempo. E avete ragione, ma… niente, prima di finire a ripetere un qualche terribile tormentone, tipo comico da prima serata che “signora mia, non so può più dire niente!”, questa volta ammettiamo la nostra colpa: stavamo leggendo i libri usciti a marzo 2023 e non ci siamo accorti dello scorrere del tempo.
Prima della rivolta di Michele Turazzi
Milano brucia: inaridita da lunghissime settimane di temperature estreme senza un goccio di pioggia, il capoluogo lombardo, centro di un esodo migratorio, si è ormai trasformato nell’incarnazione di cemento e acciaio della forbice sociale, con i poveri costretti ad allontanarsi sempre più dalle mura cittadine, i ricchi impegnati a diventarlo ancora di più sfruttando i raggi del sole, mentre un manipolo di giovani prova a far aprire gli occhi alla città prima che sia troppo tardi. Se a questo scenario aggiungessimo gli articoli sul caro affitti, saremmo pienamente nell’oggi, invece Michele Turazzi sposta le lancette dell’orologio nel 2045 ed estremizza (nemmeno eccessivamente) le conseguenze di ciò che stiamo vivendo ora: il sud Italia è in via di desertificazione, lo scontro sociale si è fatto durissimo, conseguenza dell’incapacità delle istituzioni di riconoscere e affrontare il cambiamento, e l’inevitabile discesa verso l’Apocalisse ha rinfocolato la spiritualità meneghina, incarnata nella Chiesa dell’Apocalisse. In questa cornice narrativa, che circoscrive nei bastioni milanesi un’andazzo i cui primi sintomi sono già ben leggibili oggi, Turazzi incastra un giallo che si diverte a giocare con le aspettative del lettore, nutrendole, allentandole e ribaltandole. Il morto è Renato Valsecchi, imprenditore dell’energia solare, nonché membro di spicco della Chiesa dell’Apocalisse. Sulle tracce del suo assassino si muove Alberto De Santa, commissario richiamato nella sua Milano per tirare i fili dell’indagine. Prima della rivolta si muove in un istante temporale ben preciso, eppure foriero di conseguenze imprevedibili, quel momento in cui l’equilibrio sociale è sul punto di infrangersi sotto il peso delle istanze sociali, politiche e climatiche, senza che sia possibile intuire in quale direzione il masso del progresso storico deciderà di rotolare. Nel suo connubio di generi, Turazzi si muove verso una distopia che è semplicemente un dopo-domani già ora prevedibile, in cui le figure apicali della società possono continuare la vita di sempre, il ceto medio è impegnato in guerra civile per conservare il privilegio di un impiego all’interno di un contesto lavorativo dominato dall’automazione, e gli ultimi sono letteralmente esclusi, esiliati fuori le mura. La difficoltà più grande che l’attivismo climatico e politico si trovano ad affrontare è quella di raccontare un cambiamento costante, quotidianamente minuscolo eppure inimmaginabile sul medio periodo, pervasivo nei suoi effetti che si manifestano in cambiamenti costanti e particellari, difficili da cogliere: manca uno storytelling efficace, direbbe un milanese, e il romanzo di Michele Turazzi è un ottimo esempio di come la narrativa possa essere un prezioso alleato in questo senso.
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Qualcuno dovrà pensare ai rettili di Walter Comoglio
Da queste parti apprezziamo molto la linea editoriale di Eris e non ne facciamo mistero, anche se di solito ci occupiamo dei loro fumetti. La casa editrice torinese, tuttavia, sfoggia a catalogo anche etichette di narrativa (Challenger, per dire, è un libro che ho amato tantissimo) e questo Qualcuno dovrà pensare ai rettili di Walter Comoglio è pubblicato nella collana I Tardigradi – Nuova Biblioteca del Fantastico che si propone di pubblicare racconti lunghi in un piccolo formato. I Tardigradi ospitano oggetti letterari collegati al fantastico, in tutte le sue forme, dal weird alla fantascienza senza trascurare il fantastico più “classico”, e il libro di Comoglio si inserisce perfettamente in questa cornice. Siamo nella provincia (della bassa padana, se ho colto bene le coordinate suggerite, ma poco importa) un tempo agricola, poi industriale, e ora spaesata dall’assenza di un’identità definibile, arrivata agli onori della cronaca per l’autoritaria delibera di un sindaco locale che ha vietato l’accesso in paese ai non residenti come misura contro la criminalità. Incuriosito dall’iniziativa, un giornalista si avventura in esplorazione, munito di pass d’accesso, per tradurre in un reportage le testimonianze raccolte in loco. Sotto il subito evidente racconto di una comunità in cerca di un nemico esterno attorno a cui compattarsi, l’indagine giornalista (espressione più superficiale dell’indagine più profonda condotta da Comoglio) si avvolge di pagina in pagina in un clima sempre più surreale, straniante, in cui gli eventi appaiono al contempo chiari e indecifrabili. Nella cinquantina di pagine abbondanti del racconto, Comoglio riesce a dare al lettore tutto ciò che si aspetta, celandogli al contempo l’evidenza in bella vista, in una contaminazione tra personaggi lynchiani e situazioni del cinema di Jordan Peele, in cui si avverte comunque forte il sapore della provincia italiana. In aggiunta, Qualcuno dovrà pensare ai rettili sfoggia un climax finale capace di sorprendere e spiazzare anche i più voraci divoratori di narrativa in ogni sua forma. Il fantastico italiano è vivo e questa è una splendida notizia.
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Femina: Storia del Medioevo attraverso le donne che sono state cancellate di Janina Ramirez
Bisogna ammetterlo: la cancel culture esiste. No, non parlo dei problemi immaginari di comici che non fanno ridere nemmeno i parenti o di intellettuali che amano definirsi controversi per ammantare di fascino provocatorio inclinazioni decisamente più volgari come il razzismo o le mai sopite fantasticherie fascistoidi. Circa metà del pianeta però è davvero vittima di cancel culture: parlo delle donne, la cui voce nel corso dei secoli è stata spesso silenziata o taciuta, esclusa dal racconto ufficiale della Storia scritto da uomini e destinato a uomini. Janina Ramirez (Dubai, 1980), storica dell’arte, docente a Oxford, podcaster e conduttrice radiofonica per la Bbc, ha deciso col suo libro Femina di sfatare due miti in una volta sola: quello del Medioevo visto come un periodo buio per la civiltà occidentale, e quello del ruolo della donna, tramandato come subalterno. L’Europa medievale che emerge dal lavoro di ricostruzione di Ramirez è molto diversa da quella che ci hanno raccontato alle medie, ma soprattutto è piena di donne intraprendenti , risolute e autodeterminate. Si può quasi cogliere, attraverso il filtro della traduzione di Roberta Zuppet, la divertita soddisfazione di Ramirez mentre guida il suo lettore verso l’esame del DNA svolto nel 2017 attraverso cui quel riverito condottiero norreno scoperto nel 1876 nella sua tomba si è rivelato essere in realtà una guerriera. O ancora, è facile immaginarla sorridere mentre racconta la storia di Margery Kempe che dopo 14 figli manda all’aria la sua vita e il matrimonio con agiato mercante, giurandogli di non voler fare mai più sesso con lui e abbandonandolo a se stesso per andare a cercare Cristo in giro per il mondo. Se non avete mai sentito questa storia è perchè la sua autobiografia (probabilmente la prima in lingua inglese di cui abbiamo notizia) è rimasta seppellita nella casa di qualche nobile inglese fino alla fortuita scoperta che ha di colpo gettato una luce del tutto nuova sul 15° secolo. Più in generale, Femina getta nuova luce sul Medioevo tutto e sulla nostra storia: la queerness non è un’invenzione di oggi e noi uomini sappiamo fare schifo da un sacco di tempo.
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The Ringmaster: Vince McMahon and the unmaking of America di Abraham Riesman
Questo libro è abbastanza un’eccezione rispetto al nostro approccio abituale che ci vede concentrati sui libri usciti in Italia. The Ringmaster di Abraham Riesman non ha per il momento un editore dalle nostre parti e francamente dubito l’avrà, quindi tanto vale parlarne subito: poi se qualcuno vorrà smentirmi ne sarò lieto. Chi è Vince McMahon? Probabilmente uno degli uomini peggiori sulla terra, ma questo non vi dice molto. Figlio di Vince Mcmahon Sr., il protagonista della biografia scritta da Riesman è il volto del wrestling americano, un dominio iniziato negli anni ’80, attraverso la rottura di ogni regola non scritta del settore, mandando in bancarotta i rivali e privandoli delle star più brillanti. Probabilmente vi state chiedendo come possa una disciplina finta avere tanto rilievo, ma andiamo per gradi: il wrestling è predeterminato, non finto, e fino a circa la metà dello scorso secolo i suoi incontri erano considerati reali da buona parte di pubblico e stampa. Il segreto è la cosiddetta kayfabe, ovvero l’impegno di agire sempre “in personaggio” anche fuori dagli show mantenuto da tutte le persone coinvolte nel business. Il wrestling inteso nel modo in cui la WWE, la compagnia di McMahon, lo propone da anni è quanto di più americano ci possa essere: tutto è grande, tutto è esagerato, tutto è eccessivo, il mondo è diviso in buoni e cattivi facili da riconoscere e da amare/odiare. Con il suo show settimanale (il più longevo della tv USA) il wrestling assolve da decenni un compito fondamentale, quello di raccontare storie. Ma ogni storia ha una morale, e qual è quella della WWE di Vince McMahon, che tanto ama andare un scena vestendo i panni del padrone cattivo, sfumando maliziosamente i confini della kayfabe? Il fulcro d’interesse del volume scritto da Riesman sta tutto qui, nel (COLPO DI SCENA!) profondo rapporto di amicizia che lega Vince McMahon a Donald Trump che diventa una chiave di lettura per leggere la parallela ascesa al potere dei due, i cui destini si sono incrociati persino su un ring. Trump e McMahon in fondo sono entrambi dei wrestler, portano in scena dei personaggi e mantengono la kayfabe della loro narrazione in ogni contesto, anche quando appare ridicolo. Mentre in queste settimane The Ringmaster ha raggiunto gli scaffali delle librerie, Vince McMahon è tornato in sella alla WWE, da cui era stato allontano mesi fa per uno scandalo di ripetute molestie sessuali, ha ripreso il controllo economico e creativo della sua compagnia, e l’ha venduta a Endeavour, il colosso della UFC: un rientro in scena col botto degno di una telenovela. A questo punto, qualcuno crede che il processo a Trump segnerà davvero la fine della sua storia?
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Vestiti Musica Ragazzi di Viv Albertine
A proposito di autobiografie femminili, Vestiti Ragazzi Musica è la storia di Viv Albertine, chitarrista delle Slits, scritta da lei stessa in prima persona. La vita di Albertine cambia a un concerto dei Sex Pistols, di fronte a un Johnny Rotten che suona con un look e un approccio completamente differente rispetto alle rock star dei ’70: è uno della working class su un palco che suona senza fare nulla per mascherare le sue origini. Da lì parte il racconto di Albertine che occupa la prima parte del libro: la decisione di imparare a suonare la chitarra, mai immaginata prima e davvero inimmaginabile all’epoca vista l’assenza di chitarriste donne nel panorama rock; l’autoironia con cui affronta non solo i suoi momenti di odio verso la chitarra, ma anche i diversi episodi di sesso che la vedono protagonista, non tutti esattamente patinati, è un elemento indispensabile per la riuscita del suo racconto di formazione alla vita rock, al pari delle amicizie strette durante il suo percorso, da Mick Jones a Sid Vicious, spunti indispensabili per la formazione della band più originale e intransigente del rock, The Slits.
La seconda parte del volume invece ci presenta un’altra Viv Albertine al volante della sua seconda vita, quella dopo la musica che include il cinema, dalla regia alla recitazione, la ceramica, ma anche la maternità faticosamente cercata, la perdita della propria identità di fronte ai ruoli familiari e l’amara riflessione sull’impulso di sopprimere lo stimolo creativo per fare spazio ad altro nella propria esistenza. Soprattutto, però, Vestiti Ragazzi Musica è scritto gran bene, con una verve e un ritmo che costringono ad annoverare anche la scrittura tra gli infiniti talenti di Albertine (resa ottimamente in traduzione da Paola De Angelis).
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Brick for stone di Alessandro Barbero
Questo mese senza farlo apposta la rubrica è ricorsiva: se da Femina il collegamento con Vestiti Ragazzi Musica è l’autobiografia femminile, il ponte che lega Barbero alla già citata cancel culture è invece un’intervista in radio in cui è stato chiesto al professore cosa pensi di chi vuole cancellare la Storia: la risposta, tenendo conto che Barbero è uno storico, potete immaginarla. La vera domanda da porsi però sarebbe: perché chiedere una cosa simile a un docente di Storia medievale? Voglio dire, anche ponendo la domanda in maniera meno ingannevole: perché? Per fortuna, il docente amante della ghigliottina (ci perdonerà la semplificazione) conosce altri mezzi per esprimersi con cui si muove con maggiore agio, come la scrittura. Brick for stone, il suo ultimo romanzo pubblicato da Sellerio, è in gestazione da circa vent’anni, più o meno dal momento in cui le torri sono venute giù. Lì Barbero ha iniziato a fantasticare sulle vite degli uomini che hanno messo in atto il più celebre attentato della storia moderna e sulle vite degli uomini che (con ogni probabilità) hanno provato a impedirlo. Nella sua immaginazione ha trovato un cast di personaggi improbabili, da Bobby Fisher (sì, QUEL Bobby Fisher) anticipatore della popolarità del politicamente scorretto, ma anche stratega in grado di anticipare un centinaio di mosse, fino a Koselleck, docente universitario radiato nonché esperto di graffiti volgari, insulti e scritte oscene in quasi tutte le lingue del mondo. La ricostruzione dell’evento che ha rimesso in moto la Storia (ne parlavo qui) è sorprendentemente pulp e percepibilmente divertita. Io continuo ad avere un debole per Barbero, anche per il Barbero scrittore, nonostante le brutte interviste a cui questa professione lo conduce.
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